Associazionismo, l’esperienza SNAI nel quadro nazionale

Intervista a Giovanni Xilo esperto del Formez PA nell’ambito del progetto "La Strategia Nazionale per le Aree Interne e i nuovi assetti istituzionali" a supporto dei comuni impegnati nella costruzione di forme di gestione associata

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La Strategia nazionale aree interne (SNAI) richiede ai comuni coinvolti, marginali e di piccole dimensioni, di costruire forme di gestione associata di funzioni e servizi come pre-requisito di ammissibilità finalizzato a un’efficiente pianificazione territoriale e per una efficace erogazione dei servizi sul territorio. L’obiettivo è realizzare le precondizioni per innescare processi di crescita e sviluppo locali e rendere permanenti gli interventi sui servizi.
 
La frammentazione amministrativa e il sottodimensionamento dei comuni rappresenta una criticità storica nazionale, un ostacolo al soddisfacimento dei bisogni delle comunità a cui si è cercato di ovviare con interventi legislativi per la riorganizzazione dei governi locali e attraverso sempre più cospicui incentivi nazionali e regionali alle forme associative, passando per le Unioni di comuni fino alle vere e proprie fusioni comunali.
 
Nel 2009 i comuni italiani erano 8.101, ora sono 7.914 e per il prossimo anno sono finora previste 5 nuove fusioni con ulteriori 13 comuni soppressi. Negli ultimi 10 anni sono state approvate 137 fusioni, con una diminuzione complessiva di 199 unità. E il nuovo governo scommette ancora sulle fusioni, nel collegato fiscale alla manovra di bilancio sono infatti previsti nuovi stanziamenti.
 
Abbiamo rivolto alcune domande sull’argomento a Giovanni Xilo, esperto di politiche di riordino territoriale nell'ambito del progetto "La Strategia Nazionale per le Aree Interne e i nuovi assetti istituzionali" attuato dal Formez PA e dal Dipartimento della Funzione Pubblica nel quadro della SNAI per supportare le aree nella costruzione di sistemi intercomunali.
 
Quali sono stati gli esiti di queste politiche? Quali diagnosi in termini di risultati si può fare?
Per quanto riguarda i processi associativi tra comuni possiamo parlare di risultati molto diversi da regione e regione, con punte avanzate nel nord Italia e con situazioni quasi di frontiera nel sud del paese. Questo non significa che nel Mezzogiorno non si siano sviluppati processi associativi con risultati rilevanti o che nelle regioni del Nord non sussistano aree territoriali prive di processi associativi intercomunali. Significa che in alcune regioni del Nord si è sviluppato negli anni un approccio territoriale sistemico che ha coinvolto la maggior parte dei comuni, mentre le eccellenze pur presenti nel sud del paese a volte appaiono casi isolati. Occorre poi decidere cosa si vuole osservare e cosa si vuole valutare: valutare il numero delle unioni presenti in Italia offre una diagnosi confortante sulla diffusione dell’associazionismo intercomunale; valutare il livello di conferimenti e di efficacia di questi processi di associazione offre una diagnosi molto diversa.
 
Però ancora oggi le unioni di comuni o le unioni montane non rappresentano una soluzione condivisa e strutturale.
I motivi di un risultato nazionale controverso sono tanti, nazionali e locali, legislativi e strutturali, economici e politici e forse proprio la loro numerosità a volte porta a dibattiti conflittuali pur tra attori convinti che l’associazionismo sia la giusta strada per superare i limiti strutturali dei piccoli comuni italiani. Senza voler esaurire l’elenco delle tante problematiche che si dovrebbero approfondire ne cito ad esempio tre. L’assenza di una visione strategica solida su quale rete territoriale della res pubblica si vuole avere nel territorio nazionale. L’obbligatorietà all’associazionismo tramite convenzione o unione dettata dal D.L. 78/2010 nasce esclusivamente da una problematica di natura economico – finanziaria senza che siano posti altri obiettivi di efficacia dell’azione pubblica se non in chiave di risparmi di spesa. E’ evidente che l’associazionismo per definizione, aumentando la scala su numerosi ambiti di azione dei comuni permette, nel tempo, economie, ma è altrettanto evidente che se solo su queste sviluppiamo una politica associativa nazionale di certo ne riduciamo il potenziale e il livello di interesse locale. In secondo luogo, l’assenza di una visione credibile e dotata di senso di un “territorio”, conseguenza ancora una volta del già citato decreto legge del 2010 con i limiti di popolazione come discrimine per definire l’obbligatorietà, divide invece di un unire un’area vasta, costruisce obblighi normativi diversi tra enti potenzialmente complementari creando classi ed esigenze diverse. Terzo ed ultimo ostacolo è l’indifferenza e in parte “sufficienza” con la quale guardiamo al ruolo dei sindaci e in particolare al ruolo dei sindaci nei piccoli comuni. Usiamo termini come campanilismo, visione miope, attaccamento al potere, ecc. In realtà dovremmo considerare che i sindaci sono e restano sempre e del tutto razionalmente dei difensori a spada tratta dell’autonomia della loro comunità, se non altro perché da questa discende il loro potere e a questa rispondono. Perché assumano anche un ruolo su un ambito più vasto ovvero si rendano disponibili a sedersi a un tavolo con altri sindaci per trovare soluzioni e forme di gestione comuni, le poste in gioco e i potenziali vantaggi per la loro comunità devono essere significative e non contingenti. Possiamo immaginare un sistema di incentivi (e disincentivi) selettivi, ma solo nell’ambito di una prospettiva di tutela e promozione delle piccole comunità locali ben più ampia. Solo così saremo in grado di attirare l’attenzione delle comunità locali e dei loro rappresentanti a un gioco associativo.
 
In quale contesti all’associazionismo intercomunale è preferibile un processo di fusione?
Associazionismo intercomunale e fusione di comuni non sono soluzioni naturalmente alternative. La seconda, la fusione di comuni non è una forma di associazionismo, è un processo di auto-riforma della politica locale verso una nuova istituzione comunale che nasce dal superamento delle forme comunali preesistenti. L’associazionismo, qualsiasi forma assuma, nasce per garantire l’esistenza di un comune e per superare i suoi limiti strutturali. Detto questo una soluzione non esclude l’altra: i comuni della Valle del Samoggia, nella Città Metropolitana di Bologna, fondano un nuovo comune e successivamente aderiscono a una unione con i comuni contermini. In pratica risolvono i tanti problemi e limiti di partenza attraverso una logica multi-livello. Decidono di rafforzarsi costruendo un nuovo comune di oltre 30.000 abitanti, ma contestualmente decidono che per alcune funzioni occorre essere ancora più grandi e quindi aderiscono a una nuova unione. Proprio perché processo primariamente politico, sottoposto peraltro ad un referendum, definire a priori se un processo di fusione è preferibile o meno è avventato. Si possono offrire diagnosi dal punto di vista tecnico, economico ed organizzativo, ma queste dimensioni non esauriscono la rappresentazione e le esigenze della res-pubblica in un territorio. I numerosi esempi di proposta di fusione per motivi di carattere prevalentemente economico, incentivi statali compresi, bocciati dalla consultazione popolare, inducono a sospettare che le comunità locali possano essere disposte a considerare nuovi assetti amministrativi solo se convinte su una pluralità di prospettive e non solo sui risparmi di spesa. Di converso, nei territori dove Formez PA, sulla base di un progetto del Dipartimento della Funzione Pubblica presta assistenza alla Strategia Nazionale Aree Interne per quanto attiene ai processi di associazionismo intercomunale, abbiamo spesso registrato processi di fusione per “consunzione” di uno o più enti comunali coinvolti. Fusioni per necessità, perché non c’erano più addetti e risorse per dotarsi di una struttura minima di servizio.
 
A proposito di aree interne, perché la previsione di forme di gestione associata fra i comuni delle aree è considerata una delle principali innovazioni della SNAI?
Non è tra le principali, considerate le tante innovazioni di prospettiva e di metodo che la SNAI propone, lo è dal punto di vista del dibattito e delle soluzioni fino a oggi perseguite per favorire l’associazionismo, perché riporta in primo piano il tema dell’efficacia dell’azione pubblica tramite processi di aggregazione tra comuni superando la vocazione al solo efficientamento e risparmio della spesa. SNAI propone poi una visione dove a un processo di rafforzamento amministrativo si collega una “strategia” di sviluppo sociale ed economico. Anche questa è una novità nel panorama delle politiche di riordino territoriale e di aggregazione intercomunale. Una novità molto rilevante perché in numerose aree interne si è aperto un dibattito sul concetto di partnership intercomunale ben più ampio e di prospettiva di quanto fino ad oggi praticato grazie alla DL 78/2010. Dal punto di vista della SNAI il tema dell’associazionismo è una logica conseguenza una volta stabilito che i protagonisti della progettazione e realizzazione di una strategia di sviluppo di un’area sono le comunità locali e le loro rappresentanze politico – istituzionali in una prospettiva integrata e complementare.
 
L’esperienza fatta grazie alla SNAI può contribuire ad accelerare e ottimizzare i processi associativi su tutto il territorio nazionale?
Direttamente no. L’esperienza rientra in un alveo che non caratterizza tutta la rete di comuni italiani. Può però contribuire non poco al dibattito sulle scelte da fare per superare l’attuale situazione di stallo su quali capacità e autonomia vogliamo garantire a tutti i comuni italiani. Grazie a SNAI territori e comuni di tutta Italia si sono confrontati sulle possibili soluzioni al tema della loro debolezza strutturale e ben più importante di rappresentanza. Grazie a SNAI abbiamo potuto verificare quale effettivo livello di maggiore efficienza hanno raggiunto i comuni a seguito dell’obbligatorietà dell’associazionismo, partendo da un campione che abbraccia tutte le regioni italiane. Abbiamo registrato sul campo in maniera puntuale gli ostacoli tecnici, economici e regolamentari e abbiamo supportato l’elaborazione di numerose soluzioni per superarli e avviare un percorso associativo. Un patrimonio conoscitivo di diagnosi e soluzioni che ritengo interessante. Ma il vero problema è lo stallo di fatto del dibattito su quali soluzioni per i comuni in Italia vogliamo perseguire. Una assenza di approfondimento e scelta politica che accelera il lento esaurirsi delle risorse e delle capacità di azione dei piccoli comuni italiani.