In aumento il numero dei 'Neet'

Un'indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro fotografa la situazione dei giovani che non sono né occupati, né impegnati in corsi di studio o formazione.

Aumenta il numero dei 'Neet' ('Not in Education, Employment or Training'), i giovani che non sono né occupati, né impegnati in corsi di studio o formazione. Nel triennio 2005-2008, i 'Neet' tra i 15 e i 29 anni erano poco meno di 2 milioni, pari al 20% della popolazione nella stessa fascia d'età, mentre nel 2010 hanno raggiunto quota 2,3 milioni, circa il 23,4%.
Ad analizzare il fenomeno è la Fondazione Studi e il Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, in un'indagine che fa riferimento a dati della Banca d'Italia e del ministero del Lavoro.

L'aumento è stato più marcato nelle regioni del Nord e del Centro Italia, meno pronunciato nel Sud, dove tuttavia l'incidenza di giovani 'Neet' era prossima al 30% già prima della crisi.
I differenziali di genere sono presenti anche nelle percentuali degli inattivi in Italia; mentre le donne si attestano intorno al 26%, gli uomini raggiungono il 20% delle unità comprese nella fascia d'età 15- 29 anni.

Ma la condizione di 'Neet' è solo in parte collegata al fenomeno della disoccupazione, avverte l'indagine. Nel 2008 il 30,8% dei 'Neet' cercava un'occupazione (il 25,3% tra le donne); tale quota ha raggiunto il 33,8% nel 2010. Nel Nord-Ovest e al Centro quasi il 40% dei giovani che non studiano e non lavorano era alla ricerca di un'occupazione, il 38% nel Nord-Est. Nel Mezzogiorno, dove la partecipazione al mercato del lavoro è inferiore per tutte le fasce d'età, la quota non raggiungeva nemmeno il 30%.

Attraverso una recente ricerca fatta dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, si è cercato di capire proprio perché i 'Neet' non cercano occupazione. Nella stessa ricerca della Fondazione Studi, dagli operatori del mercato sono state evidenziate le figure professionali introvabili o di difficile reperimento nel mercato del lavoro italiano. Ne emerge che, mentre il mercato è sempre più incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali non risentono della crisi.
Settore d'occupazione per 8.383.000 lavoratori (il 36% del totale degli occupati), anche nel 2011 sono stati i più richiesti, come evidenziato nell'ultimo Rapporto sulla situazione del Paese presentato dal Censis. A fronte di quasi 600.000 assunzioni previste dalle aziende, ben 264.000 (il 44,4%) hanno interessato lavori di tipo manuale. Tuttavia, le imprese lamentano difficoltà di reperimento, visto che sarebbero circa 50.000 (il 19% del totale) le posizioni di lavoro considerate di difficile copertura.

Negli anni è avvenuto un vero e proprio processo di sostituzione tra lavoratori italiani e stranieri in molte professioni manuali, si osserva. Tra il 2005 e il 2010, a fronte di un crollo dei lavoratori italiani occupati in professioni manuali (-842.000, -11%), si registra un significativo aumento dei lavoratori stranieri (+725.000, +83,8%), la cui incidenza passa dal 10,2% al 19% del totale.

Altro dato su cui fare una seria riflessione, per i consulenti del lavoro, è sicuramente quello che evidenza che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo attrazione una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell'imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un'attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).

E, si sottolinea, i giovani sono oggi i lavoratori su cui grava di più il costo della mobilità in uscita. Nel 2010, su 100 licenziamenti che hanno determinato una condizione di inoccupazione, 38 hanno riguardato giovani con meno di 35 anni e 30 soggetti con 35-44 anni. Solo in 32 casi si è trattato di persone con 45 anni o più.
L'Italia presenta un tasso di anzianità aziendale ben superiore a quello dei principali Paesi europei. Lavora nella stessa azienda da più di dieci anni il 50,7% dei lavoratori italiani, il 44,6% dei tedeschi, il 43,3% dei francesi, il 34,5% degli spagnoli e il 32,3% degli inglesi. Tuttavia, solo il 23,4% dei giovani risulta disponibile a trasferirsi in altre regioni o all'estero per trovare lavoro.

[Fonte: ADNKronos]