A quasi vent’anni dalla legge n. 241, che ha segnato agli inizi degli anni ’90 l’avvio di una nuova stagione nella semplificazione amministrativa1, è venuto il tempo di una riflessione sulla evoluzione dei modelli di semplificazione e su quali possono essere, oggi, i fattori chiave di un nuovo paradigma della semplificazione amministrativa.
Come è noto, infatti, la legge n. 241 del 1990 ha incluso tra i principi che regolano l’attività amministrativa quelli della economicità, efficacia, pubblicità e non aggravamento del procedimento e ha disciplinato alcuni degli istituti più importanti e sempre attuali della semplificazione quali la Conferenza dei servizi, gli accordi tra amministrazioni, la disciplina dei pareri e delle valutazioni tecniche, l’autocertificazione, la denuncia di inizio attività e il silenzio assenso.
Successivamente, la legge n. 537 del 1993 ha avviato la semplificazione procedimentale e la delegificazione, individuando un numero limitato di procedure amministrative (elencate in un apposito elenco allegato) e i criteri e i principi per semplificarle attraverso lo strumento dei regolamenti delegificanti. Ma è con la legge n. 59 del 1997 e le successive leggi annuali che la semplificazione amministrativa viene “messa a sistema” e si delinea un disegno unitario, in cui i temi della riforma amministrativa, del decentramento e della semplificazione si intrecciano inscindibilmente e costituiscono un quadro organico. Attraverso la previsione di un disegno di legge concernente la delegificazione dei procedimenti amministrativi. Viene così introdotto un “meccanismo permanente” di semplificazione procedimentale: alla legge n. 59 del 1997 e alle successive leggi annuali di semplificazione sono allegati gli elenchi dei procedimenti da delegificare e semplificare (nel complesso ne sono stati individuati 247 dalla leggi n.59 del 1997, n.191 del 1998, n.50 del 1999 e n.340 del 2000).
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