Dopo aver incassato il via libera del Comitato tecnico nazionale aree interne, lo scorso 26 luglio è stata presentata in conferenza stampa la Strategia d’area Matese. Prima area pilota delle 4 individuate in Molise per la sperimentazione della Strategia nazionale aree interne (SNAI), è composta da 14 comuni montani che, tranne Bojano con i suoi oltre 8mila cittadini, non superano i 2 mila abitanti. San Polo Matese conta appena 470 residenti. Soggetti quindi, tranne il maggiore, alla gestione obbligatoria delle funzioni e servizi stabiliti sulla base della normativa nazionale vigente a partire dal 2010. Centri piccoli e periferici caratterizzati dall’abbandono da parte delle giovani generazioni delle attività tradizionali a favore dell’esodo verso le grandi città universitarie del Centro-Nord o le aree industriali dei poli urbani più facilmente raggiungibili. Il documento presentato punta alla valorizzazione, anche in termini turistici, di ciò che sopravvive dell’antico sviluppo della valle matesina legato alla civiltà transumante, ai mestieri antichi cui affiancare la piccola industria e la produzione di energia. Questa l’idea guida della Strategia d’area che vede nell’innovazione dei sistemi educativi uno degli strumenti principali per la sua realizzazione. Il motivo ce lo spiega Andrea Romano, sindaco di Spinete, referente istituzionale dell’area, che ha tenuto a sottolineare di aver risposto alle nostre domande “con onestà, sulla base di quello che ho vissuto personalmente come capofila dell'area”
Quanto è importante intervenire sul sistema scolastico per innescare lo sviluppo nel vostro territorio?
La scuola nei nostri piccoli comuni deve progressivamente trasformarsi in un presidio di innovazione economica, sociale e soprattutto culturale. Cosa intendo: i numeri delle scuole dell’area matesina sono spesso sotto soglia di legge, esistono numerose pluriclassi. C’è un progressivo e probabilmente inevitabile accentramento verso poli scolastici che, almeno in teoria, dovrebbero raccogliere gli studenti di più comuni. Nella maggior parte dei casi resistono i livelli dell’infanzia e della primaria mentre sono state chiuse negli ultimi anni molte sedi delle secondarie di primo grado. La possibilità di resistere contro l’evidenza dei numeri può arrivare soltanto dalla qualità e dall’innovazione delle proposte didattiche che si riescono a formulare. Se concepiamo la scuola come luogo d’obbligo dove le mattinate sono abbastanza standardizzate e dove mai si racconta un territorio offrendo ai ragazzi una proposta didattica integrata con e nella storia di quel territorio, allora sarà meglio chiudere le nostre “piccole scuole”. In tal modo i nostri paesi da presìdi essenziali di sopravvivenza diventeranno luoghi di de-formazione territoriale e trampolini verso l’abbandono delle nostre terre interne.
Che ruolo hanno i giovani nel futuro dell’area?
Quello fondamentale di chi rimane per scelta, perché ha realizzato un legame con il proprio territorio di cui si sente responsabile, in cui può finalmente trovare opportunità di crescita e professionali. Se a scuola ti parlano soltanto di ciò che è accaduto e accade lontano da qui, di ciò che puoi fare lontano da qui, di quello che ti offre quel lontano da qui difficilmente rimarrai o tornerai. Quando, per esempio, nella strategia d’area parliamo di “natura come libro di testo” indichiamo la necessità di integrare il potenziale di sviluppo nei programmi didattici delle scuole di quel territorio. Se nella valle del Matese 14 comuni investono le risorse assegnate in una particolare produzione, gli alunni delle scuole matesine dovranno sapere “vita morte e miracoli” di quel qualcosa che si produce. Il distretto scolastico in sede di programmazione dovrà coinvolgere comuni, associazioni, insegnanti, guide, operatori agricoli, economici e socio culturali per scrivere un programma integrato che racconti e spieghi alle nuovissime generazioni il respiro di questa valle, i sentieri di questa montagna, quelli vecchi e soprattutto quelli nuovi che con molta fatica si stanno tracciando.
È pur vero che il mondo va conosciuto, che quando hai 20 anni probabilmente devi andare se vuoi crescere e se vuoi imparare qualcosa in più, ma è altrettanto vero che se negli anni della prima formazione quel luogo e quella scuola ti hanno reso consapevole circa il potenziale e la bellezza del tuo paese natale ci sono più probabilità che si possa tornare o rimanere a studiare, perché l’Università c’è anche qui (se ai più piccoli si raccontano alcune cose si devono poi trovare quelle cose anche all’università…altrimenti non ha senso). Insomma dalle aree interne si deve anche partire certo, ma un conto è allontanarsi per conoscere meglio, per curiosità, per specializzazione, altro è abbandonare senza speranza. Nelle nostre scuole deve diventare diffusa la pratica dei viaggi d’istruzione per capire come avvengono e come si sviluppano alcuni fenomeni.
La scuola deve diventare un luogo privilegiato dove si possano incrociare le notizie dal mondo con quelle dalla piazza del paese: questo significa coinvolgere la ruralità e la località nella storia, nella geografia, nella chimica, nella letteratura…etc. A cosa può servire una lavagna elettronica connessa in rete se non a questo. Chi insegna, però, deve parlare la stessa lingua e questa probabilmente sarà la sfida più difficile perché le attuali regole del gioco non aiutano molto in questo senso.
Con la nostra strategia proviamo a costruire un’offerta scolastica policentrica dove i nostri ragazzi sin da subito possano entrare in connessione con la loro terra di appartenenza ed imparare a raccontarla inserendola in un contesto più ampio. Un territorio che non si conosce non si può raccontare, un territorio che soffre quantitativamente e qualitativamente proprio perché si è sempre guardato allo specchio senza alzare lo sguardo deve imparare ad ascoltare voci “esterne” e a raccontarsi all’esterno.
La scuola è la chiave di tutto questo e i giovani sono gli strumenti del cambiamento. Da queste parti se un figlio si convince di qualcosa grazie alla scuola molto probabilmente convincerà anche i propri genitori. Arriviamo qui all’educazione degli adulti di cui abbiamo ben dettagliato nella strategia, ma mi fermo altrimenti la racconto tutta da capo.
Si può dire che queste problematiche siano in via di risoluzione?
Assolutamente no, li abbiamo appena posti come problemi e va anche detto che purtroppo non tutti li percepiscono come tali. Si parla poco tra di noi che amministriamo e ci portiamo dietro una deleteria storia di arroccamento, competizione e localismo che parte proprio dal livello istituzionale.
Edilizia scolastica e catasto sono le funzioni che verranno gestite in forma associata dai comuni dell’area, centrando il prerequisito associativo richiesto dalla SNAI. Una scelta strategica che da una parte punta a individuare edifici pubblici per attività associative, ricreative e per puntuali interventi di sviluppo; dall’altra per creare a medio termine poli educativi funzionali strategici. Il processo di aggregazione non è stato sempre facile a causa di forme associative preesistenti e il perdurante rinvio dell’obbligo ex lege della gestione associata delle funzioni. Il quadro risultava molto frammentato con 22 Convenzioni per funzioni e 2 Unioni.
Quale è la natura degli ostacoli alla costruzione di sistemi intercomunali?
In un momento storico durante il quale sono cambiati velocemente i paradigmi amministrativi, economici e gestionali ci siamo trovati a svolgere lo scomodo ruolo di chi è costretto a dare risposte nuove a domande molto antiche. Gli amministrati fanno sempre le stesse vecchie domande da queste parti e certamente non accettano la risposta che si impone quasi per legge, non per volontà. Allora che fare: cercare di adattare in ogni modo la risposta alla vecchia domanda o educare la domanda al nuovo?
In questa delicata funzione molto spesso non siamo per niente aiutati dalla schizofrenia normativa a livello centrale. Insomma qui la storia locale non aiuta l’innovazione amministrativa, la scuola non aiuta, un certo feudalesimo di ritorno non aiuta, ma è anche lo Stato che non aiuta con le sue deadline, con i continui tagli ai piccoli comuni e con regole spesso complicate che portano allo stallo amministrativo.
Quale funzione o servizio risulta più difficile da gestire in forma associata?
Tra le funzioni fondamentali direi quella che contiene la programmazione territoriale di livello sovracomunale: una funzione quasi mai considerata. Anche quando esistono o sono esistiti degli enti sovracomunali, come le unioni, questi hanno sempre privilegiato l’aspetto della spesa e del conseguente risparmio e non quello dell’investimento per prospettive future di benessere locale. E’ il caso dei servizi eco sistemici, della digitalizzazione e della unificazione dei software gestionali per esempio. Siamo sempre allo stesso discorso: le novità e lo stare insieme vengono accettati finché non si toccano le certezze acquisite dalla popolazione locale. Associarsi è qui per molti aspetti rivoluzionario.
Le idee guida della vostra Strategia d’area, incentrate sulla valorizzazione delle tradizioni economiche locali, sono state condivise con la popolazione? C’è stato un fattivo contributo “dal basso?
Purtroppo e onestamente l’apporto dal basso non è stato finora fondamentale. Detto ciò sono stati coinvolti molti attori, locali e non, che hanno reso possibile un confronto allargato quanto più possibile dal basso. Molti abitanti sono stati intercettati in numerosi incontri ed interviste. Vanno considerati però alcuni limiti di tipo storico e culturale nel rispondere a questa domanda. Dopo molti tentativi ed errori, è doveroso ammettere che forse è più fruttuoso costruire esempi e dimostrare l’efficacia se si vuole il forte coinvolgimento dal basso, quello vero. Attendere che si attivi il forte coinvolgimento dal basso prima di programmare il futuro rischia di creare ritardi non controllabili. Un programma serio, di rinascita territoriale deve valutarsi nel tempo anche lungo, certo! Ma se vuole determinare il cambiamento deve anche iniziare ad essere operativo nel breve periodo altrimenti resta teoria. Fino a questo punto abbiamo fatto un grande e lungo lavoro di costruzione teorica e programmatica, di rifinitura nell’immaginare il nostro territorio: adesso o diventiamo operativi nel funzionamento tra i comuni a livello amministrativo e nel coinvolgimento delle comunità a livello economico-produttivo e culturale oppure ci avviciniamo a quel punto di non ritorno nel quale troppo spesso i programmi e le risorse si sono impantanati. SNAI è qualcosa di diverso e la novità pare sia stata digerita. Speriamo bene.
Come hanno reagito i cittadini alla prospettiva di associarsi?
In teoria se ne parli reagiscono bene, ma quando si rivolgono ai comuni ancora lo fanno alla vecchia maniera. Ad ogni modo una vera campagna di sensibilizzazione non è ancora iniziata. Siamo all’alba di quella fase.
Al di là degli obblighi normativi, quale è l’obiettivo finale dell’integrazione comunale sulla base degli interventi previsti per lo sviluppo dei comuni interessati?
Una città diffusa, policentrica che sappia offrire dei servizi innovativi in ambito interno e rurale per la maggior parte del territorio ottimizzando le risorse economiche ed umane presenti sui 14 comuni.
Come pensate di diffondere lo spirito della Strategia d’area ora che è stata approvata?
Si sta procedendo ad un piano di comunicazione abbastanza importante e capillare a partire dalle scuole che stanno riaprendo. Con la Regione Molise e gli esperti del Comitato nazionale bisognerà soprattutto saper informare alcun gruppi specifici circa le opportunità che alcune azioni e progetti particolari della strategia approvata possono offrire.
Un aggettivo per definire il lavoro fin qui svolto e un altro per quello che vi aspetta.
Lavoro fin qui svolto: di convincimento
Da svolgere: rivoluzionario
Il sindaco capofila dell’area Matese: “Ci attende un lavoro rivoluzionario”
Intervista al primo cittadino di Spinete a poco più di un mese dall’approvazione della strategia d’area. Centrale il ruolo dei giovani anche per superare i campanilismi ed educare gli anziani
Progetto di riferimento: